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Il caso Linkon

Storia di un apolide "italiano"

Da “Il resto del carlino”

Una Vita Invisibile

RIMINI — Alcuni giorni fa era in treno, la polizia ferroviaria gli chiese i documenti.
Consegnò la carta d'identità, ancora nuova. Gli agenti la controllarono e gliela restituirono, senza sollevare obiezioni. Solo allora fu sicuro che non deve più nascondersi, che può girare liberamente. «Grazie Italia per avermi dato la libertà», dice Linkon Chowdary, originario di Dinajpur (Bangladesh), 32 anni appena compiuti, quasi tutti vissuti da clandestino.
Da due anni Linkon è uno straniero «regolare», grazie ad una sentenza della magistratura, forse unica del genere nel nostro Paese, che lo ha dichiarato apolide. Ha così ottenuto non solo carta di identità e passaporto, ma anche un permesso di lavoro, che sta utilizzando facendo un po' il cameriere e un po' l'operaio. L'ultimo lavoro, concluso qualche giorno fa, in un albergo di Bellaria, vicino Rimini. Ora attende una nuova occupazione, possibilmente definitiva.


Quando tre anni fa arrivò da clandestino in Italia, Linkon non sapeva leggere né scrivere, ma parlava sei lingue: il bengali, l'indiano, l'urdu, il turco, l'inglese e un po' l'italiano. Ha ottenuto lo status di apolide (che gode di protezione internazionale) e, in attesa di avere tra due anni la cittadinanza italiana, ha già acquisito diritti e doveri dei cittadini italiani. Ha conseguito la licenza media attraverso un corso serale per studenti-lavoratori.


È stata dura la vita per Linkon, nato il 12 ottobre 1970. «Mio padre — racconta — era del Pakistan orientale, e militare dell'esercito pakistano. Nel '71 prestava servizio nella parte ovest del Paese; provò a raggiungere il movimento di liberazione della parte orientale, ma fu catturato ed ucciso». Alcuni giorni dopo, la madre, Begum Rabbia, gli fu portata via dai militari. Linkon, persi i genitori e senza che nessuno abbia mai chiesto per lui, dopo la guerra civile del 1971, la cittadinanza del Pakistan o del Bangladesh, fu allevato da una governante che morì nel 1986. Nel novembre 1993 fuggì a piedi in Turchia. Sbarcato in Puglia, il giovane fu trasferito a Muro Lucano. Mentre i suoi compagni hanno chiesto il riconoscimento della condizione di rifugiati, Linkon, consigliato da un avvocato, ha ottenuto lo status di apolide.
Tra un lavoro saltuario e l'altro, Linkon ha anche mostrato il suo animo generoso: da tre anni sale sul treno bianco, dando assistenza agli ammalati in pellegrinaggio a Lourdes.

Da "La Gazzetta del Mezzoggiorno"

Da apolide a cittadino italiano

La storia di Linkon che ora può restare per sempre a Muro Lucano (Potenza), anche se era analfabeta conosceva sei lingue straniere, ora vuole aiutare gli altri

ROMA - Quando otto anni fa arrivò da clandestino in Italia non sapeva leggere, nè scrivere, ma parlava sei lingue: il bengali, l'indiano, l'urdù, il turco, l'inglese e un po' l'italiano. Non aveva nazionalità, nè religione, ma solo un sogno nel cassetto: restare per sempre, da regolare, a Muro Lucano (Potenza), dove vive dal 13 febbraio 1998. Ora quel sogno, già parzialmente diventato realtà nel 2000 con una sentenza che gli riconosceva lo «status» di apolide, ha avuto il definitivo suggello: LinkonChowdary, originario di Dinajpur (allora Pakistan dell'est, oggi Bangladesh), 36 anni, molti dei quali vissuti da clandestino, è stato dichiarato cittadino italiano con un provvedimento del Ministero dell'Interno. La notizia gli è stata ieri dal sindaco di Muro Lucano. Linkon - ha spiegato l'avvocato Salvatore Pagliuca, legale del giovane - dovrà presto giurare fedeltà all'Italia e alle sue leggi e poi avrà finalmente la tanto agognata carta d'identità, che attesterà a tutti la sua cittadinanza italiana. Per la verità, già da apolide Linkon ha ricevuto un regolare documento, ma la burocrazia, si sa, è molto complessa e tutte le volte che Linkon si allontanava da Muro Lucano, dove è ormai di casa, doveva subire lunghi controlli. Da apolide, Linkon ha anche potuto frequentare la scuola: ha conseguito in modo brillante la licenza media, ma con riserva, proprio per la sua condizione di «senza patria». Ora che è cittadino italiano, quella riserva cadrà.

E' stata dura, finora, la vita per Linkon, nato il 12 ottobre 1970. «Mio padre - racconta - era originario del Pakistan orientale e militare dell'esercito pakistano. Nel 1971 egli prestava servizio nella parte ovest del Paese; provò a raggiungere il movimento di liberazione della parte orientale, ma fu catturato ed ucciso». Alcuni giorni dopo, la madre, Begum Rabbia, gli fu portata via, per sempre, dai militari. Linkon, persi i genitori e senza che nessuno abbia mai chiesto per lui, dopo la guerra civile del 1971, la cittadinanza del Pakistan o del Bangladesh, fu allevato in Pakistan da una signora, governante nella casa paterna, che morì nel 1986. Il ragazzo tentò di ritornare in Bangladesh, ma fu respinto dall'ambasciata di quel Paese, che non accolse la sua richiesta di diritto di cittadinanza, essendo trascorso molto tempo dalla guerra di liberazione. Continuò allora a vivere da clandestino in Pakistan, subendo spesso - dice - le violenze e le persecuzioni della polizia, che lo arrestò ripetutamente. Nel 1993, con una sbarra metallica - racconta - un agente gli procurò una lesione alla mano destra, a causa della quale Linkon ha l'immobilità permanente del quarto e del quinto dito. Nel novembre dello stesso anno fuggì a piedi in Turchia e giunse a Istanbul, dove trovò alloggio in un quartiere degradato e lavoro in un fabbrica di abbigliamento.
I ritmi erano massacranti: 18 ore al giorno, per una paga di 200 dollari al mese, in parte spillatigli - dice - dalla polizia, che presto gli intimò di lasciare la Turchia. Pagò duemila dollari, quasi tutti i suoi risparmi, per imbarcarsi il 23 dicembre 1997, con altri 400 profughi, sulla nave Cometa. Un viaggio nella stiva, con irruzioni di pirati albanesi, i quali, con la minaccia delle armi, pretesero che alcune donne fossero portate a terra, dove le violentarono.
Sbarcato in Puglia, il giovane visse per qualche tempo in un centro di prima accoglienza, poi fu trasferito a Muro Lucano, dove - dice - si è imbattuto nel cuore grande della gente del posto. Mentre i suoi compagni chiesero il riconoscimento della condizione di rifugiati, Linkon chiese che gli fosse riconosciuto lo status di apolide. La decisione favorevole del Tribunale di Potenza, arrivata nel 2000, gli ha dato libertà di movimento: ha prima svolto lavori occasionali, poi, d'estate, ha lavorato in alcuni alberghi in Romagna. Ora, da qualche anno, fa l'operaio per alcune imprese impegnati in scavi archeologici in Basilicata. Vive a Muro Lucano, dove si è perfettamente integrato, ha preso in affitto una casa e ogni mese paga il canone con la puntualità di un orologio svizzero. Da alcuni anni Linkon opera anche per un'associazione di volontariato. Ha ancora un sogno nel cassetto: «Vorrei fare qualcosa di importante - spiega - per aiutare circa quattro milioni di persone che, come è successo a me, vivono in Pakistan e Bangladesh senza alcuna cittadinanza, e, per questo, vittime di soprusi di ogni genere».
Enzo Quaratino

 

 

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autore: Mariano Calò
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